Ci vorrebbe un Piano G

L’opinione, CORRIERE DEL TICINO, 15.12.2022, Montorfani

Pietro Montorfani: «Chi abbia un po’ di dimestichezza con le politiche giovanili sa quanto sia complesso trovare il giusto equilibrio tra la messa a disposizione di spazi di espressione e di libertà (nient’altro che questo chiedono i giovani di ogni epoca e paese) e il rispetto di alcune regole di base».

La tragedia consumatasi lo scorso 27 novembre tra la diga della Roggiasca, a mille metri di quota sopra Roveredo Grigioni, e l’ospedale San Giovanni di Bellinzona ha riportato sotto gli occhi dell’opinione pubblica il tema della disponibilità di spazi giovanili e il perenne, tormentato braccio di ferro tra le generazioni. Di fronte al corpo esanime di una ragazza di 19 anni, morta per cattivo destino, ma anche per incuria, abbandono, abuso di stupefacenti e mancanza di soccorsi, insomma per un concatenarsi di responsabilità delle quali portiamo tutti sulle spalle almeno una piccola parte, le parole sono sempre troppe e sempre sbagliate. È riuscito nell’intento Gino Ceschina in una commovente lettera postuma indirizzata alla vittima, Ai piedi della diga, che consiglio di reperire online. Dice proprio quello che bisogna dire in questi casi.

Chi abbia un po’ di dimestichezza con le politiche giovanili sa quanto sia complesso trovare il giusto equilibrio tra la messa a disposizione di spazi di espressione e di libertà (nient’altro che questo chiedono i giovani di ogni epoca e paese) e il rispetto di alcune regole di base, pensate anche per la loro stessa salvaguardia. Lugano ha alle spalle una pluridecennale storia di successi – che non avrà forse accontentato tutti, ma che rimane comunque tale – grazie soprattutto all’allora Ufficio attività giovanili, fondato e diretto da Claudio Chiapparino e oggi trasformato in una divisione
importante dell’amministrazione comunale.

Meno virtuoso, per usare un eufemismo, è stato invece il dialogo con gruppi spontanei più o meno autogestiti, e in quanto tali poco inclini ad accettare gli approcci più istituzionali. Dopo l’infelice conclusione della vicenda del CSOA si attende dalle due parti una soluzione praticabile e duratura, perché è chiaro a tutti che il nuovo comparto dell’ex Macello (immaginato con grande intelligenza) non potrà andare incontro a quel tipo di esperienza e di esigenza. Sarebbe come offrire il campetto dell’oratorio a chi vuole fare freeclimbing. I due mondi non si parlano.

Manca ancora insomma, dato che la Città ama dotarsi di documenti strategici, un vero e proprio Piano G, sufficientemente ampio ed elastico per concedere ai giovani (e a tutti quelli che si sentono tali) degli spazi e delle possibilità di socializzazione non gravati da troppe regole o cavilli amministrativi. La legge è la legge, ma la fantasia a volte può affiancarla senza contraddirla. Molti esempi in varie parti d’Europa, anche Svizzera, sono lì a dimostrarlo. Serve forse un po’ più di pensiero laterale.

Nel frattempo c’è già chi ha pensato di muoversi indipendentemente per sondare il parere dei diretti interessati: lo hanno fatto i giovani del Centro (ex PPD) interpellando 570 coetanei e ponendo loro una serie di domande mirate: la Città fa abbastanza? Che spazi servirebbero per la stagione estiva? E per quella invernale? Quali dovrebbero essere le condizioni accettabili per l’uso di spazi pubblici? E via di questo passo. Sullo sfondo emerge naturalmente anche il tema della destinazione dei molti edifici comunali che ancora attendono di conoscere il loro destino: se alcuni, i più prestigiosi (Villa Heleneum, Casa Cattaneo), hanno trovato ottimi inquilini paganti, altri rimangono silenti e vuoti in un tiki-taka di rimbalzi tra politica e amministrazione, con decine di associazioni che stanno sugli spalti a guardare speranzose. Sarebbe bello ogni tanto segnare qualche piccola rete.

Fonte: Corriere del Ticino.

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