Lo sport di sopravvivere

LA DOMENICA, 07.10.2023, Davide Illarietti 

«La Domenica» racconta il disagio psicologico nello sport agonistico – Matteo Lancini, psicologo: «È il frutto di una società sempre più competitiva dove l’individualismo e le ambizioni sono la base di tutto». 

Dagli spalti non si vede, ma negli spogliatoi è cosa nota. Lo sport agonistico non è un mondo dorato fatto di «eroi indistruttibili» e Matteo Lancini lo sa bene. Da psicologo, ha seguito diversi atleti in ogni ambito e avverte: «I ragazzi hanno le loro fragilità, non vanno sottovalutate». 

Anche in Ticino le squadre di calcio giovanile devono spesso fare i conti con il disagio psicologico. La prova è il ricorso a «mental coach» negli ultimi anni da parte di singoli giocatori ma anche di interi club, non solo in ambito calcistico: l’HCL fino al 2019, l’HCAP ne ha assunto uno a partire da quest’anno. 

La punta dell’iceberg 

Che sia sul ghiaccio o sull’erba, in acqua o sotto un canestro lapressione psicologica è alta. Affiora nelle interviste «a bordo campo»per bocca di sportivi di primo piano: gli attacchi di panico di Dominic Zwerger (Ambrì), la depressione di Francisco Rodriguez (Fc Lugano), il disagio post-olimpico raccontato da diversi atleti medagliati (Noé Ponti e Nina Christen dopo Tokyo 2021) sono alcuni esempi. 

È naturalmente la punta di un iceberg. Secondo alcune ricerche – uno studio del 2021 della rivista svizzera «Frontiers in Psychology» addirittura il 20 per cento degli atleti soffre o ha sofferto di problemi depressivi, e sotto la superficie professionistica ci sono tante storie di sport dilettantistico finite male se non (in casi estremi) addirittura in tragedia. «Purtroppo in Italia si sono verificati diversi fatti di cronaca in questo senso, e anche in Svizzera le statistiche confermano che il problema è tutt’altro che marginale» sottolinea Lancini. «L’esperienza mostra che non solo nelle discipline individuali ma anche di squadra, in presenza di aspettative alte da parte delle società sportive ma anche delle famiglie l’insuccesso rischia di essere vissuto come un fallimento in senso ampio, della persona in quanto tale». 

Secondo l’esperto, che il 23 ottobre parteciperà a un incontro all’auditorium BancaStato di Bellinzona assieme a diverse società calcistiche e non, allenatori e genitori, il problema non nasce nello sport in sé. «È il frutto di una società sempre più competitiva dove l’individualismo e le ambizioni sono la base di tutto» sottolinea lo psicologo. Spesso la comunità che circonda i giovani sportivi «non tiene conto delle trasformazioni sociali che hanno determinato modalità di reagire al fallimento anche drammatiche da parte dei ragazzi». Il ritiro sociale, l’autolesionismo e – a volte – persino i tentativi di suicidio hanno preso il posto della rivolta trasgressiva. Nascondono lo stesso senso di inadeguatezza e smarrimento che secondo il terapeuta, autore di recente del libro «Sii te stesso a modo mio» (editore Raffaello Cortina, 2023) si cela dietro la violenza senza progetto delle baby-gang. Comportamenti che «lasciano giustamente preoccupate le società sportive». 

La partita tra generazioni 

L’esempio viene dai grandi club, a cominciare dalla serie A – Lancini ha collaborato con una importante squadra italiana, di cui non può fare il nome – per arrivare ai campionati più lontani: in diverse società i team di psicologi dello sport sono una realtà strutturata ormai da tempo – in quella dove ha lavorato Lancini erano «una decina» – in particolare a sostegno dei settori giovanili. Quelli «in cui in genere si presentano le maggiori problematicità». Non solo i giovani campioni o aspiranti tali, dunque, ma anche gli allenatori e tutto il team adulto «viene coinvolto in un vero e proprio lavoro formativo, con al centro l’idea che i ragazzi non vanno valutati solo in base alle performance ma come soggetti a tutto tondo, nel pieno del loro percorso evolutivo». 

Anche perché – per la legge del pallone e dei grandi numeri – la maggior parte di quei ragazzi farà altro nella vita, o buona parte di essa. A maggior ragione in un territorio come il Ticino dove gli sbocchi, a livello professionistico, sono limitati. «È quindi fondamentale che il passaggio dalle ambizioni giovanili ad altri progetti non sia vissuto come un fallimento personale: tornando, per certi versi, allo spirito che animava lo sport di una volta». Un cambio di paradigma in cui le vecchie generazioni – i genitori – possono ancora giocare una palla importante. 

«Aiutiamo i ragazzi a vivere la sconfitta senza auto-lesionismo» 

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